domenica 26 ottobre 2014

In Egitto:dalla prigionia alla leberazione

Gli ebrei in Egitto

La storia di Giuseppe, narrata ampiamente nell'ultima parte del libro della Genesi, conclude l'epoca dei patriarchi e fa da congiunzione con avvenimenti narrati nel libro dell'esodo.
Giuseppe era l'undicesimo figlio di Giacobbe e di Rachele Giuseppe è il figlio prediletto di suo padre Giacobbe. Giacobbe infatti riversava su di lui l'amore che aveva per la moglie preferita: Rachele, morta alla nascita di Beniamino. Questa preferenza del padre, che si manifesta sotto la forma di una tunica donatagli all'età di 17 anni, alimenta la gelosia dei suoi fratellastri. La gelosia è alimentata anche dai sogni di Giuseppe: nel primo undici covoni di grano (rappresentanti i suoi undici fratellastri) si inchinano davanti al covone di grano confezionato da Giuseppe; nel secondo undici stelle, il sole (rappresentante il padre Giacobbe) e la luna (rappresentante la matrigna) si prostrano davanti a Giuseppe. Un giorno quando Giuseppe raggiunge i suoi fratelli che pascolano le greggi, essi complottano contro di lui. Il primogenito si oppone all'uccisione di Giuseppe, preferendo che venga gettato in fondo ad un pozzo. Propone infine di venderlo ad una carovana di mercanti di passaggio. Per venti monete d'argento, Giuseppe diventa schiavo e viene condotto dai mercanti in Egitto. I suoi fratelli utilizzano la tunica e del sangue di capra per far credere al padre Giacobbe che Giuseppe sia stato ucciso da una bestia feroce.




Arrivato in Egitto, Giuseppe è rivenduto come schiavo a Potifar un ufficiale del faraone, di cui diventa l'intendente. Essendo molto abile nel suo lavoro, Giuseppe fece prosperare negli anni le attività del suo padrone e si guadagnò la sua stima. Tuttavia la sua posizione favorevole mutò completamente quando la moglie di Potifar, innamoratosi di lui, tentò di sedurlo, senza successo. Per vendicarsi dell'umiliazione subita, la donna accusò Giuseppe di aver tentato di usarle violenza e chiese al marito che il giovane fosse punito. Giuseppe venne giudicato colpevole e rinchiuso in prigione, dove divise la cella con il coppiere e il panettiere del faraone, caduti in disgrazia. Un mattino i due uomini si svegliano e raccontano entrambi di aver fatto un sogno. Giuseppe li ascolta e interpreta le loro visioni. Al coppiere predice che sarà riconosciuto innocente e che riavrà la sua funzione a servizio del faraone; al panettiere invece annuncia che sarà condannato e impiccato. Tre giorni più tardi i sogni si realizzano, come li aveva interpretati Giuseppe.


 Il coppiere, rientrato a palazzo, suggerisce al faraone, due anni più tardi, di ricorrere a Giuseppe per interpretare due sogni che nessuno dei suoi maghi è riuscito a comprendere. Nel primo apparivano sette vacche grasse e sette vacche magre, mentre nell'altro si vedevano sette spighe piene e sette vuote. Giuseppe, condotto alla presenza del faraone, spiega i sogni premonitori e mette in guardia il sovrano. Predice infatti sette anni di abbondanti raccolti seguiti da sette anni di carestia. Giuseppe si guadagna la fiducia del faraone suggerendogli di fare delle scorte negli anni di abbondanza in modo da poterne usufruire in quelli di carestia. Il faraone favorevolmente impressionato dalla saggezza di Giuseppe lo libera dalla prigione e gli affida il ruolo di visir d'Egitto.



Giuseppe si sposa con un'egiziana di nome Asenat ed ha due figli: Efraim e Manasse. Durante i sette anni di abbondanza Giuseppe organizza la costituzione di riserve alimentari in grado di sfamare il popolo nei periodi di carestia e, quando la fame si abbatte sull'Egitto, è qui che tutte le popolazioni della regione e quelle confinanti, si riversano in cerca di approvvigionamenti. Tra quelli che arrivano in città per comprare del grano ci sono anche i fratelli di Giuseppe. Giuseppe li riconosce senza essere a sua volta riconosciuto. Per vendicarsi del loro comportamento passato, li fa incarcerare con un futile pretesto ma poi, desideroso di rivedere il fratello minore, Giuseppe escogita un sotterfugio. Decide quindi di tenere in ostaggio solo Simeone, e libera tutti gli altri, ingiungendo però loro che per salvare Simeone dovranno tornare in Egitto, accompagnati dal fratello più giovane, Beniamino. Disperati, i nove fratelli lasciano il palazzo e di li a qualche tempo si ripresentano con Beniamino. Giuseppe, soddisfatto, libera Simeone e finge magnanimità lasciandoli partire tutti insieme. Di nascosto però fa collocare una coppa d'argento nel sacco di Beniamino e con questo pretesto lo fa accusare di furto. Giuseppe minaccia di far incarcerare Beniamino ma un altro fratello si offre di prendere il suo posto per far sì che possa tornare dal padre Giacobbe, il quale morirebbe di dolore se perdesse anche questo figlio. Giuda rivela che la perdita di Giuseppe è già stato un colpo durissimo per l'anziano e che un'altra tragedia di questo tipo sarebbe fatale per lui. Vedendo come i suoi fratelli sono protettivi nei confronti di Beniamino, e quanto il loro comportamento è diverso da quello che avevano riservato a lui, Giuseppe, commosso, rivela la sua vera identità. La sorpresa è grande ma la gioia di ritrovare Giuseppe vivo lo è ancora di più e, convintosi che il loro pentimento è sincero, Giuseppe perdona i suoi fratelli ed invita tutta la famiglia a stabilirsi in Egitto.


Giacobbe alla vigilia della sua morte adotta come figli Efraim e Manasse e li benedice. Giuseppe muore all'età di 110 anni. Il suo corpo viene imbalsamato alla maniera egiziana e sarà riportato in terra di Canaan durante l'esodo.
http://www.bing.com/videos/search?q=giuseppe%20e%20i%20suoi%20fratelli&qs=AS&form=QBVR&pq=giuseppe%20e&sc=8-10&sp=1&sk=#view=detail&mid=0A8F3CF203526C0B8CCA0A8F3CF203526C0B8CCA


Tra storia e leggenda

Anche se non si parla direttamente di Giuseppe vi è comunque nella storia egizia ampia documentazione riguardo alla presenza di un popolo di origine semita e di provenienza siriana, gli hyksos, re-pastori che dal 1700 a.C. Regnarono su gran parte dell'Egitto. La schiavitù degli Ebrei invece corrispose a un periodo di ampia espansione politico-militare di quell'impero egiziano, che si estendeva dal fiume Eufrate, nella Siria settentrionale, sino alla Nubia.


Mosè e la rivelazione di Dio
Nel raccontare la vicenda degli Ebrei in Egitto (narrata nel libro dell'Esodo), la Bibbia introduce una delle figure più significative dell'Antico Testamento: Mosè.
Nato da Yochebed e Amram, il piccolo Mosè venne nascosto in un cesto dalla madre a solo tre mesi di vita, e deposto sulle rive del Nilo per essere salvato dalla persecuzione voluta da Faraone. Infatti il Faraone aveva detto al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Impose quindi agli Ebrei i lavori forzati per opprimerli. Ma il popolo ebreo continuava a aumentare così il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei di uccidere i figli maschi degli Ebrei, ma le levatrici non lo fecero. Allora il faraone diede quest'ordine a tutto il suo popolo: «Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia». Dalle acque del Nilo, Mosè fu raccolto dalla figlia del sovrano che, commossa dal pianto del bambino, decise di adottarlo come suo figlio, affidandolo, su invito di Miriam, sorella del neonato, alla madre naturale affinché lo nutrisse.

Cresciuto alla corte egizia ed educato alla sua cultura (come successivamente accadrà anche a Daniele presso Nabucodonosor in Babilonia) Mosè si recò un giorno al cantiere degli israeliti dove, difendendo uno schiavo, uccise senza farsi vedere il sorvegliante che lo percuoteva ma, nascosto il corpo di questi nella sabbia, scoprì che l'omicidio era risaputo quando cercò di fermare la lite fra due schiavi. Ricercato dal faraone abbandonò l'Egitto e fuggì, attraverso il deserto, nella terra di Madian.


Fermatosi presso un pozzo, Mosè incontrò le sette figlie di Jethro, sacerdote di Madian, e le difese dall'assalto di alcuni pastori prepotenti. Le giovani, grate al loro difensore, lo presentarono al padre che lo invitò a rimanere con loro. A Madian, Mosè divenne pastore al servizio del sacerdote e ne sposò una delle figlie, Zippora, dalla quale ebbe due maschi: Gherson ed Eliezer.


Portando ai pascoli del monte Oreb le greggi, Mosè fu attratto dal meraviglioso prodigio d'un roveto che ardeva ma non si consumava; da questi giunse una voce che gli ordinava di togliersi i sandali perché calpestava una terra sacra, rivelandosi poi come il Dio dei patriarchi d'Israele che, avendo ascoltato il grido degli schiavi, aveva deciso di liberarli e condurli in una terra «dove scorre latte e miele». Mosè, ricevuto l'ordine di essere guida degli israeliti, rifiutò dapprima, per paura, l'incarico, chiedendo quale fosse il nome di Dio e come avrebbe potuto convincere il suo popolo che lui stesso l'aveva mandato per riscattarli. «Io sono colui che sono».

Il no nome di Dio

Dio si mostrò quindi a Mosè attraverso una teofania: un roveto che ardeva ma non si consumava. In quest'occasione Dio rivelò il proprio nome e investì Mosè della Missione.
Secondo la tradizione ebraica la parola JHWH (ovvero le quattro consonanti con cui si scrive il nome di Dio nella lingua ebraica) è il nome che Dio stesso si è dato apparendo nel roveto ardente a Mosè. Gli studiosi lo interpretano con il significato di “Io sono”. Altri invece gli riconoscono un significato di causa: “io faccio essere” ,” io porto esistenza”, “Io rendo presente in modo libero e gratuito”. Poiché JHWH è il nome di Dio ed è santo, secondo le usanze, gli Ebrei non lo pronunciano: quando lo incontrano nella lettura del testo biblico lo leggono come se fosse il termine Adonaj (che significa “Signore”) o la parola Eliohim (che significa “Dio”).

mercoledì 15 ottobre 2014

Abramo e i patriarchi

La chiamata di Abramo
Abramo è il primo patriarca dell'ebraismo, del cristianesimo e dell'islam. La sua storia è narrata nel Libro della Genesi ed è ripresa dal Corano.
Non esistono testimonianze indipendenti dal Genesi dell'esistenza di Abramo: non è quindi possibile attestare la sua storicità. In ogni caso possiamo collocare le vicende che lo riguardano in un periodo che va tra il XX ed il XIX secolo a.C. Nella Bibbia le storie dei patriarchi (Abramo,Isacco e Giacobbe), non sono delle biografie, né racconti storici nel senso comune del termine, ma di fissazione per iscritto di tradizioni orali trasmesse per generazioni di padre in figlio durante i secoli.
Secondo il racconto biblico il Dio unico Abram, figlio di Terach e fratello di Nacor e Aran, era un pastore che viveva nella città di Ur con la propria famiglia. Qui sposò Sarai e con tutta la famiglia si spostarono a Carran, città della Mesopotamia settentrionale (oggi in Turchia).
Un giorno Dio parlò ad Abramo, ordinandogli di lasciare la sua terra e di dirigersi nella terra che lui gli avrebbe indicato. Tre sono le promesse che Dio fa ad Abramo:
una numerosa discendenza; la benedizione, tramite lui, di tutti i popoli della Terra; la promessa di un territorio per la sua discendenza.



Abram, che aveva a quel punto 75 anni e non era ancora riuscito ad avere figli a causa della sterilità di Sarai, obbedì: radunò la carovana delle sue greggi e i suoi servi e partì, lasciando Carran, con sua moglie e il nipote Lot. Quando arrivò nel paese di Caanan, nei pressi di Sichem, Dio gli apparve in un luogo chiamato Betel ("Casa-di-Dio") e gli fece la promessa che quella terra sarebbe appartenuta alla sua discendenza. Lì, Abram costruì un altare. Poi piantò la tenda tra Betel e Ai e costruì un altro altare. Infine, si diresse verso il deserto del Negheb.


Per salvarsi dallacarestia a Canaan, Abram fuggì in Egitto, raccomandando a Sarai di spacciarsi per sua sorella, nel timore che la bellezza di lei potesse attrarre su di lui la violenza degli Egizi. In effetti, voci sulla bellezza di Sarai giunsero fino alle orecchie del faraone e marito e moglie vennero condotti a palazzo. Ad Abram vennero regalate numerose bestie.
Abram tornò nel Negheb dall'Egitto, dove si separò dal nipote Lot. Lot si trasferì nelle vicinanze della città di Sodoma.
Nello stesso luogo dove tempo prima Dio gli aveva parlato, Abram ebbe una nuova rivelazione da Dio: in lui sarebbero state benedette tutte le genti, gli avrebbe concesso una discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare.

In una nuova visione, Dio confermò ad Abram l'alleanza, che si sarebbe estesa a tutta la sua discendenza. Sarai era sterile e avanti negli anni, quindi Abram ritenne opportuno accettare il suggerimento di Sara di avere un figlio con la schiava egiziana Agar, che chiamò Ismaele. Ma Dio apparve nuovamente ad Abramo tredici anni più tardi, confermando che Sarai gli avrebbe dato un figlio legittimo nonostante l'età avanzata, e cambiò . In questa occasione Dio dettò anche il precetto della circoncisione, come segno dell'alleanza di Abramo e della sua casa a Dio.


La circoncisione rituale è un rituale di passaggio consistente nella circoncisione del prepuzio maschile.
Otto giorni dopo la nascita di un figlio maschio gli Ebrei eseguono il rito di Brit Milah (circoncisione). Il rito risale proprio ai tempi di Abramo al quale, come detto sopra, fu ordinato di circoncidere se stesso e i suoi figli Ismaele e Isacco ,come segno della sua alleanza con Dio. Dato che Isacco aveva otto giorni di vita al momento della sua circoncisione, oggi il Brit milah viene pratico ai bambini che hanno raggiunto l’ottavo giorno di età. La cerimonia può essere rimandata per ragione di salute.








La prova di Abramo
In seguito, un giorno, Abramo vide davanti alla sua tenda tre uomini e li invitò a riposarsi. Diede loro,come gesto di ospitalità, dell'acqua per lavarsi i piedi e Sara preparò delle focacce e del vitello da mangiare. Essi si riposarono e mangiarono. Al momento di andare via, assicurarono che Sara, l'anno successivo, avrebbe avuto un figlio. Sara, all'udire queste parole si mise a ridere, perché era troppo vecchia per avere un bambino. Allora i viandanti risposero dicendo che niente è impossibile a Dio. Sul punto di andarsene, i viandanti rivelarono ad Abramo la volontà di Dio di distruggere Sodoma e Gomorra. Abramo intercedette allora per i giusti che sarebbero morti insieme agli empi e ottenne da Dio la promessa che se in tutta Sodoma e Gomorra avesse trovato solo dieci giusti, a motivo di quei dieci, avrebbe sicuramente risparmiato le città dalla distruzione.


Il libro della Genesi continua raccontando che l'anno dopo, Sara partorì un figlio maschio che venne chiamato Isacco , nome che significa “Risata” (perché Sara aveva riso all'idea di poter avere un figlio all'età di novant'anni). In seguito a ciò scoppiò una violenta gelosia tra Sara e Agar, al punto che Abramo decise di allontanare nel deserto Agar e suo figlio Ismaele , dando loro un pane e un otre d'acqua.
Quando Isacco era già un ragazzo, Dio mise alla prova Abramo: gli disse di andare sul monte Moria e di sacrificare il suo unico figlio. Abramo, accettò e obbedì senza discutere. Mentre legava Isacco per il sacrificio, però, apparve un angelo che disse ad Abramo di non far niente a suo figlio e che Dio aveva apprezzato la sua ubbidienza, benedicendolo "con ogni benedizione"e gli indicò un ariete da sacrificare al suo posto.
.





Da Isacco a Giacobbe
Il popolo ebraico riconosce le proprie origini in Abramo e nella sua discendenza: i patriarchi, cioè le persone più autorevoli all'interno del gruppo.
  • Isacco, il figlio di Abramo, a sua volta ebbe da sua moglie Rebecca due figli: Esaù e Giacobbe.
  • Giacobbe è il figlio di Isacco e di Rebecca. Da Giacobbe discendono le dodici tribù d’Israele. Il suo nome significa letteralmente “soppiantatore” e deriva dal termine ebraico “ageb”, ossia “tallone”, “calcagno” e, più nello specifico, “afferrare per il calcagno o soppiantare”. Fu chiamato in questo modo perché al momento del parto teneva con la mano il calcagno del fratello gemello nato per primo, Esaù, e quindi erede della primogenitura. Com’è noto, tra i popoli orientali, ma non solo, il nome, col suo significato, rispecchiava una qualche qualità del nascituro o un’aspirazione dei genitori nei suoi riguardi. Così, questo è da tener presente anche quando a Giacobbe l’angelo di Dio nel famoso combattimento notturno, gli cambia il nome in “Israele” ovvero “colui che lottò col Signore e vinse”.


Giacobbe nacque e visse l’adolescenza nella terra di Canaan e riuscì ad ottenere i diritti della primogenitura (eredità spirituale e di governo) che spettavano al primogenito Esaù. La ottenne però con l’inganno e con la collaborazione della madre. Così avvenne che quando il padre Isacco era ammalato e praticamente cieco, Giacobbe, in assenza del fratello, si presentò a lui per ricevere la benedizione come da usanza ebraica. Per fare questo, dovette fingersi Esaù indossando pelli di capra sulle braccia per sembrare peloso al tatto (Esaù era molto peloso) e le vesti del fratello con il suo odore. Mettendo poi una mano sotto la coscia del padre e modificando la voce, gli offrì il famoso piatto di lenticchie e, così, ottenne la benedizione e con essa tutti i diritti della primogenitura.




Questo suscitò l’ira di Esaù e Giacobbe dovette riparare presso lo zio Labano. Durante il cammino Giacobbe dormì a Luz (poi detta Betel, casa di Dio) dove fece il famoso sogno della scala sulla quale salivano e scendevano gli angeli alla cui sommità c’era Dio che gli prediceva della sua numerosa discendenza. Giacobbe fece voto di riconoscerlo sempre come suo Dio.




Da Labano Giacobbe s’innamorò della figlia Rachele, ma per averla in sposa dovette riscattarla lavorando come pastore per sette anni. Al termine del periodo però Labano fece introdurre nella tenda di Giacobbe non Rachele ma la figlia maggiore, Lia. Il giorno dopo Giacobbe si accorse dell’inganno ma Labano si giustificò dicendo che l’usanza era quella di sposare prima la figlia maggiore se nubile. Labano, poi, in cambio di altri sette anni di servizio presso di lui, gli promette con certezza Rachele. Questa, divenuta moglie era sterile mentre Lia aveva dato alla luce dei capostipiti delle tribù d’Israele, Ruben, Simeone, Levi e Giuda. Così a Giacobbe fu offerta anche la schiava Bila (da cui Dan e Neftali) e poi ebbe da Lia anche la schiava Zilpa (da cui Gad e Aser). Da Lia poi nacquero Issacar, Zabulon e Dina. Ma Dio si ricordò di Rachele e nacque Giuseppe.
Intanto erano diventati difficili i rapporti con lo zio Labano e, attraverso una serie di raggiri, Giacobbe riuscì a partire ma Rachele prese di nascosto di tutti le divinità (statuette) pregate dal padre per la protezione.
Labano li inseguì ma non trovò le statuette nascoste da Rachele.
Durante il cammino Giacobbe ebbe una visione divina che lo confortò. Nelle vicinanze di Seir, nei dintorni del campo del fratello Esaù, Giacobbe inviò un messaggero per la pace e sperando nel suo perdono. Giacobbe passò la notte sullo Iabbok, un affluente del Giordano. Qui avvenne la lotta con l’angelo di Dio e Giacobbe acquistò il nuovo nome di Israele.


I due fratelli si riconciliarono. Qui avvenne poi la vicissitudine del rapimento di Dina da parte dei Sichemiti. In sostanza, con altri inganni i fratelli di Dina, dopo la finta alleanza suggellata con la circoncisione dei Sichemiti, approfittarono della debolezza fisica dei maschi dovuta alla circoncisione stessa, uccidendoli e saccheggiando ogni bene. Giacobbe condannò tale azione per le eventuali ritorsioni dei superstiti e dei popoli vicini. Nel cammino Rachele rimase incinta una seconda volta e mise alla luce Beniamino ma subito dopo morì.

Giacobbe riuscì a essere a Hebron accanto al padre proprio al momento della sua morte insieme con il fratello Esaù. Da questo momento in poi, Giacobbe si stanzia in questo luogo e la storia di Israele continua con i suoi figli e, in particolare, con Giuseppe, il figlio più amato che, venduto dai fratelli, riabbraccerà in Egitto come vicegovernatore.

Il patriarca Giacobbe morì in tarda età e fu seppellito dai figli nella caverna che acquistò Abramo a Macpela di fronte a Mamre.
Nonostante il suo vacillare Giacobbe fece la volontà di Dio che, attraverso Giacobbe, va oltre le leggi, oltre i legami familiari e si serve degli errori umani per fare la sua volontà.

lunedì 6 ottobre 2014

Una storia in chiave religiosa


Un Dio che si rivela nella storia




Le vicende del popolo ebraico sono narrate nella Bibbia , il testo sacro degli Ebrei. Quella biblica è però una testimonianza particolare, in quanto non si tratta di un racconto specificatamente storico. Gli Ebrei, infatti, interpretarono le vicende a loro storicamente accadute secondo un'ottica religiosa.
Quindi leggere e ascoltare il racconto biblico significa scoprire la storia di un popolo, perché la Bibbia è nata lentamente, grazie all’esperienza storica che alcuni uomini hanno fatto di Dio. La Bibbia è infatti l’attestazione scritta della memoria del popolo di Dio, e la Sacra Scrittura è una letteratura religiosa nata all’interno della storia d’Israele.
Per poter capire e studiare la Bibbia è pertanto indispensabile una pur minima conoscenza della storia d’Israele. Questo popolo, quindi, ha vissuto determinati avvenimenti storici che sono stati meditati, interpretati, scritti e tramandati fino a noi. La Bibbia di conseguenza è una rielaborazione delle vicende della storia di Israele, in cui si intende evidenziare la presenza di Dio in mezzo al popolo.
Leggendo la Bibbia si noterà che per il popolo d'Israele, sin dall’antichità, Dio appare come colui che è sempre presente,che parla all’uomo mediante la sua Parola (e il popolo deve custodire le sue
parole) e lo guida con il suo Spirito.






Per cui posiamo affermare che per gli ebrei, ma vedremo più avanti anche per i cristiani:
  • Dio parla agli uomini e si rivela nella trama storica dei grandi eventi della quotidianità: in quest'ottica le vicende terrene del popolo eletto diventano una manifestazione diretta dell'opera e della volontà di Dio:
  • La storia si svolge secondo il progetto di Dio che ha una sviluppo progressivo.si può dunque immaginare il racconto della Bibbia come un cammino dell'uomo con Dio che ha come fine ultimo la salvezza ( intesa semplicemente come conquista della Terra Promessa ma anche come liberazione dal male).

Storia e religione

Si afferma spesso che la Bibbia è un libro di religione e non di storia, il che è vero, ma un po' vago. Quello su cui non si riflette abbastanza è il fatta che quando essa è stata scritta come libro di religione, il concetto di religione era diverso da quello che abbiamo noi. La religione ebraica ( come tutte le religioni del Vicino Oriente) comprendeva in sé cose che oggi a noi appaiono esterne a essa. Ma quando un popolo diventa “santo”, ogni azione della vita quotidiana e ogni vicenda politica costituiscono un fenomeno religioso. Nella Bibbia è perciò difficile, diciamo pure impossibile, tracciare una linea di demarcazione tra quello che è storia e quello che è religione.

Il Dio degli Ebrei

Il Dio degli Ebrei come emerge dal racconto biblico,si presenta con caratteristiche precise:
  • è un Dio creatore di tutte le cose, che ha plasmato dal nulla il mondo e l'umanità e le ha fatte esistere per sua libera iniziativa. Il popolo d'Israele arriva a questa idea approfondendo la sua riflessione su Dio, di cui conosce esperimenta la fedeltà e la misericordia, e capisce che da Lui dipendono le origini del mondo intero e dell'umanità;
  • è un Dio liberatore. È Lui infatti che libera il popolo ebraico dalla schiavitù egizia e da quel momento in avanti Dio è colui che dice "presente" e gli è accanto per accompagnarlo e salvarlo da ogni tribolazione.
  • Di conseguenza è il Dio della vita che, intervenendo con il suo amore nella storia dell'uomo da Lui stesso creato, gli offre la salvezza vincendo il male, la divisione, la violenza. È dunque un Dio salvatore;
  • è il Dio alleato dell'uomo. Esso è sempre fedele a questa alleanza, infatti mantiene le sue promesse se il popolo si attiene a quanto gli ha richiesto, ma è disposto anche a comprendere l'errore umano e a dare agli uomini la possibilità di riscattarsi, permettendo così di nuovo l'instaurarsi del patto di fedeltà reciproca.  un Dio misericordioso cioè che per l'uomo prova un sentimento di compassione quando mostra i propri limiti morali o spirituali ( il peccato).


L'alleanza

Il termine “alleanza” deriva dall'ebraico berith e significa “determinazione a far qualcosa”, “patto”, “obbligo”.Il termine è usato per esprimere il legame tra Dio e l'uomo, che è un legame di tipo personale che esige fedeltà e impegno reciproci. L'alleanza tra Dio e il suo popolo è ua realtà nuova, che si esprime attraverso diversi avvenimenti della storia di Israele.
http://www.bing.com/videos/search?q=l'alleanza%20di%20Dio%20con%20il%20suo%20popolo&qs=n&form=QBVR&pq=l'alleanza%20di%20dio%20con%20il%20suo%20popolo&sc=0-0&sp=-1&sk=#view=detail&mid=CA47E40E765DA02508DDCA47E40E765DA02508DD